Apre a Milano l’edizione
numero ventuno di Miart dall’8 al 10
aprile, appuntamento annuale con la fiera che per questa edizione vede presenti
154 gallerie provenienti da 16 paesi: Francia, Gran Bretagna, Corea, Stati Uniti,
Giappone, Uruguay, Austria.
Cosa ci si
aspetta da una fiera dell’arte? Ci si aspetta tutto e niente, come frequentemente
accade, così per ogni evento. Quello che viene comunicato a livello mediatico
non corrisponde molto spesso a quello che in realtà si sviluppa poi a livello
visivo: le cose si fanno ripetitive e dal sapore del “già visto”, artisti
storicizzati si affiancano a nuove leve e non sempre la vicinanza dell’uno o
dell’altro porta all’effetto desiderato. Si rischia di sminuire o
sopravvalutare ora l’uno, ora l’altro e non è proprio quello che si desidera,
in effetti se ne esce sconfitti e bastonati come espositori e come artisti.
Non significa
necessariamente che ad ogni fiera, esposizione o evento d’arte scatti la novità
e si gridi al miracolo, anzi! È più facile che accada il contrario e che ci si
ritrovi a parlare e vedere cose che, per paura o poca intenzione, risultino poi
superate e poco coraggiose. È un rischio fare arte, è un rischio ogni volta che
ci si mette in gioco e si prova a guardare oltre i pochi metri quadrati di
stand per dare l’avvio ad un modo nuovo e temerario di discutere di arte e di
artisti.
È semplice
quindi attirare il pubblico usando come specchietto per le allodole artisti e
opere che sono sicuramente di richiamo e di facile comprensione, si copiano
come ricalcate su carta carbone le gallerie che espongono i classici come Giorgio de Chirico, Ernesto Treccani, Mario
Schifano, Andy Warhol, Giò Pomodoro e tanti altri si disseminano nei vari
spazi, sono la sicurezza di poter attrarre le persone che passano che esclamano
e si fermano: “Oh guarda! È un de Chirico!” così si attrae il potenziale
collezionista e cliente e lo si costringe a fermarsi e vedere anche altro,
operazione di marketing obsoleta e superata? Beh non proprio visto che ancora
ci si ferma, ad esempio, tra le bancarelle al mercato quando si vede l’accalcarsi
di gente davanti si pensa che lì davanti ci sia una qualche vantaggiosa
opportunità da vedere e scoprire… Logica di mercato e offerta rivolta al
pubblico vanno di pari passo.
Chi si ferma e
riconosce un artista tra i tanti si sente in dovere di dirlo a voce alta agli
altri per dimostrare sia la propria competenza che far vedere che lui di
arte-ne-capisce-qualcosa. Magari sono poi le stesse persone che alla “fine
della fiera” (nel senso letterale del termine…) commentano; “anche
quest’anno la solita gente, le solite cose, i soliti artisti…” magari
scordando che dietro i “soliti noti” ci sono le novità (a volte non eclatanti) fatte
con il gusto per la ricerca, la curiosità, la voglia di imparare e di mettersi
in gioco, di sperimentare percorsi nuovi.
Allora succede
che, visto che “le nuove proposte” non sono supportate o capite abbastanza, si
passa alle frasi liquidatorie del tipo: “giovani tutti uguali senza nulla da dire in
particolare”, “cose scontate e già viste”, “riciclano sempre gli stessi stili e
modi di pensare”.
Indubbiamente
però la frase preferita che si ritrova alla fine di ogni esposizione rimane la
seguente: “Non ho capito nulla e non ho visto nessuna cosa nuova!”.
Ovviamente frase
usata per chiudere in fretta un discorso che trova la maggior parte delle
persone impreparate o ancora poco pronte per capire e fagocitare un’arte nuova,
reale e vicina ad un mondo contemporaneo di cui non si conoscono gli sviluppi e
i percorsi futuri.
Perché? Perché la
sicurezza che dà il passato con il quale vezzeggiarsi e coccolarsi è sempre
diversa da un futuro ambiguo che può essere ricco di soddisfazioni ma
lastricato di perplessità e dubbi.
Quindi meglio
affidarsi alle certezze che alle incognite di un domani che spaventa e che non
risulta appetibile, meglio un uovo oggi o una gallina domani?
Vedere le
gallerie che sono il risultato di un copia-incolla le une delle altre con gli
stessi autori posizionati in maniera differente, quasi fotocopie una dietro l’altra,
nasconde in fondo la voglia di certezza nell’offrire al pubblico i loro
prodotti e dall’altro la commistione di ricerca e innovazione che, purtroppo,
molto spesso manca in questo contesto.
Fare arte non è
facile, così come parlare di arte e diffonderla, comunicare l’arte però non è
un’impresa impossibile ma una sfida quotidiana e, aggiungo, proiezione del futuro.
Quindi? Godiamoci
le fiere, i Miart, le esposizioni e soprattutto l’Arte, responsabile di molti
pensieri e molte disquisizioni.
Massimiliano
Sabbion
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