“Non penso che l’arte abbia un potere.
Ma sicuramente ha un valore. Chi si interessa
all’arte ne trae conforto.
Riceve consolazione semplicemente dalla sua bellezza”
(Gerhard Richter
)
Uno dei pittori
più influenti della nostra epoca Gerhard
Richter ha rilasciato un’intervista video al Louisiana Museum of Modern Art, che ha appena acquisito una sua
opera.
Le sue parole
rivelano l’essenza di un pensiero in cui si palesa il bisogno di esprimere, da
parte dell’artista, un giudizio su quanto vissuto nel corso degli ultimi
decenni da un pittore che ha attraversato gran parte della storia dell’arte
contemporanea mondiale.
“Oggi la
bellezza non è nella moda non è quello di cui abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno
di intrattenimento, di sensazioni”.
Intrattenimento
e sensazioni, secondo Gerhard Richter la vera bellezza nell’arte si esplica
quindi attraverso il bisogno di esprimere insito nell’arte: produrre emozioni.
L’artista
tedesco ribadisce un concetto provato da chi l’arte l’ha vissuta in prima
persona e l’ha realizzata come motivo dominante sia nella carriera che nella
vita.
Di arte è pieno
il mondo, un’arte, secondo le parole di Gerhard Richter, allegra e affollata di
idee, di persone e di voglia di creare.
Si è pieni di
mezzi di trasmissione che abbattono muri e frontiere, ricchi di comunicazione
globale tra pensieri e immagini e l’arte ne diventa il veicolo primario per
dare voce ad ogni sensazione.
Nel mondo
contemporaneo parlare solo di bellezza nel senso classico del termine è
riduttivo: non esiste bello o brutto in arte, esiste la scelta di poter
scegliere.
Il quadro, la
scultura, sono mezzi che nei secoli sono serviti a veicolare il concetto di
bellezza che nell’arte contemporanea si è trasformato dialogando con nuovi
materiali e nuove ideologie, si parla di bellezza anche attraverso il corpo, la
performance,
la body
art così come con la poesia visiva e la videoarte.
La creazione è
gioco, quindi secondo Richter l’arte è negli ultimi tempi giocosa, si ha
bisogno di arte, di fare e produrre arte, ma si ha il dovere di distinguere ciò
che è arte e ciò che è divertimento fine a se stesso.
Troppe persone oggigiorno
si sentono artisti solo perché viene a loro data la possibilità di esprimersi,
si arriva a prendersi poi troppo sul serio, ci si arrabbia se il lavoro non
viene riconosciuto o apprezzato, si cercano capri espiatori sotto il nome di critici, gallerie, istituzioni,
dimenticando che prima di tutto si è dentro un gran calderone senza filtri ed
esposti a tutto, chiamiamolo sistema o gioco, ma sempre un enorme minestrone di
emozioni e idee resta.
Se del gioco
iniziale si perdono le regole, gli obiettivi e, soprattutto, la voglia di divertirsi,
allora non vale la pena esporsi ed essere pronti ad ogni tipo di giudizio o di
confronto con altri artisti e di sapere che, nel bel mezzo di questo immenso
panorama, ci sarà sempre chi è peggiore di te, ma ci sarà anche, soprattutto,
chi è migliore di te.
Forse è proprio
per questo che negli ultimi anni si parla sempre più di “arte emozionale”, un’arte
che sia pacificatrice con il mondo esterno, un’arte che produca sensazioni, piacevoli
o no, ma che sia un porto per tutte le emozioni che si incanalano poi verso un’opera
d’arte.
Quindi un’opera
d’arte deve contenere in sé i principi base delle emozioni: gioco, creatività,
bellezza, sensazione e tutte queste realtà insieme si fondono in un unico
concetto che si fa, appunto, arte. L’umiltà e la genialità, anche se spesso non
vanno di pari passo, dovrebbero essere il biglietto da visita di ogni artista,
capire e studiare il mondo passato poi serve a capire il presente per evitare
errori o ripetizioni, sia nella storia, sia nell’arte.
L’arte è
relazione, è comfort, è bellezza, è potere ed è soprattutto emozione.
Quello che si
presenta quindi nelle parole di Gerhard Richter è una lucida visione di come si
arrivi a rendere potente il mezzo artistico che si fa da collante e tramite con
le emozioni, proseguendo poi con la spiegazione di come il ruolo dell’artista
serva a dar voce alle persone in un mondo che comunica sempre di più, ma parla
sempre di meno.
Massimiliano
Sabbion
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