Perché.
Perché
raccontare.
Perché
raccontare l’arte.
Potrebbe essere
questo il titolo di una lunga discussione sull’arte e sugli artisti, sulle cose
da dire e fare, sul sapere e sul creare, sul perché abbiamo così bisogno di
spazio e soprattutto tempo per mettere in moto il cervello e gli occhi per
riuscire a vedere e godere delle forme che si propongono, una dopo l’altra,
curiosi di verificar e di vedere cosa succede poi, quasi come una partita a
carte di Memory, per vedere quale
figura successiva si accavalla nella testa associandola ad un’altra o alla sua
gemella.
La curiosità ci
spinge a vedere oltre, guardare nello spazio e nella mente di chi si trova a
seguire la spinta emozionale di ciò che si vuole vedere.
Perché.
Perché
raccontare.
Perché
raccontare l’arte.
Perché è un
bisogno ed è una realtà effettiva conoscere e raccontare: voglio vedere cosa si
nasconde dietro la porta chiusa a chiave.
Siamo tutti novelli
curiosi eredi delle mogli di Barbablù che non temono le paure e le conseguenze
e vogliono squarciare il velo, togliere le bende, tagliare le tele, vedere
oltre la dimensione conosciuta.
Il backstage, il
dietro le quinte, il retroscena, qualunque nome gli si dia non manca la
curiosità per capire cosa si cela al di là del visibile.
Alice non si
accontenta di restare nella stanza, vuole vedere dietro la porta cosa c’è, desiderosa
di intraprende un viaggio nel vero regno delle Meraviglie, poiché lo stupore
non sta nel vedere ciò che tutti vedono ma nello scrutare quello che gli altri
non sanno, quello che gli altri non percepiscono affatto.
La morbosa
voglia di capire e di vedere come si incastrano i pezzi, quali siano le fatiche
che prendono il sopravvento tra le cose da organizzare, fare, dire, lettera e
testamento…perché è un gioco al massacro: io che vedo tu che fai, tu che crei e
io che sbircio.
Perché.
Perché
raccontare.
Perché
raccontare l’arte.
Se ne ha
bisogno, si discute del bisogno, col bisogno e abbisogno, di che cosa? Di fare
e di dire che oggi le cose non sono quelle che sono, ma non sono neppure quelle
che sembrano.
Complicato e
astruso il pensiero, ma che c’è di più bello di un capolavoro finito? Lo so!
Più bello ancora c’è il dietro le quinte che svela il momento dell’atto
creativo.
Quella
telecamera nascosta tra i muri che tutto cattura, quegli appunti su un diario
che si inseguono tra disegni e scarabocchi, quei fermo immagine fissati con gli
spilli sul muro, gli storyboard, planning sul percorso, le riunioni,
le foto ricordo, le figure mentali che si accavallano… tutto questo è il
“fare arte” per ottenere un solo risultato: l’opera.
Quindi, quando
qualsiasi cosa si presenta agli occhi di uno spettatore, poiché si è prima spettatori
che creatori, si assapora il percorso compiuto di chi lo ha prodotto: tecnica,
cultura, passione, fatica, ripensamenti, comparazioni, dubbi…
Non importa che
tu sia cuoco, pasticciere, carpentiere, architetto, scrittore, artista,
pittore, scultore, clown, attore, cantante… qualunque sia il tuo generoso
contributo dato, anche se le professioni cambiano, il risultato resta.
Bello scoprire
le carte, bello vedere la “dietrologia” delle cose e delle situazioni ed ecco
perché il fascino del “cosa c’è dietro questa tenda?” non si sopisce facilmente.
Pandora aprì
curiosa il vaso, lasciò al suo interno la speranza, già, perché si spera sempre
in un riscontro e in un mondo che apprezzi gli sforzi: speriamo che tutto ciò
arricchisca e aggradi chi da spettatore passa poi ad essere il consumatore della
pubblica cosa creata.
Perché?
Perché in arte?
Per raccontare.
Per raccontare,
ora, l’arte.
Massimiliano
Sabbion
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